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10 agosto 2023

Ai tempi del coronavirus

Non vi è un altrove, il mondo è tutto qui, in questa casa. Le regole della quarantena sono severe. Si esce solo per poche esigenze particolari. Guardo dalla finestra e vedo la strada deserta. Per un fotografo è una sofferenza, non potersi tuffare nella confusione cittadina a caccia d’immagini è una privazione troppo dura. L’unico mezzo di comunicazione è lo smartphone, messaggini o telefonate, a parte i social nient’altro. 

Chiamo Giuseppe: «Come stai?» La sua voce è annoiata e stanca «Mi sento depresso, comunque esco al mattino per comprare il giornale e poi sto qui in casa tutto il giorno», non sembra la stessa persona che conosco da anni, chiedo per indagare: «… ma, in quanto a foto, riesci a fare qualcosa?» la voce adesso rivela un interesse bassissimo per quello che sta dicendo, «Rivedo foto molto vecchie ed ho nostalgia dei bei tempi», lo saluto. Riguardo fuori dalla finestra, non ci sono ma vedo, forse a causa di un’allucinazione, le sbarre intorno alla mia casa. Mi mancano i confronti “veri” che si possono avere solo se ci avventuriamo in territori non protetti, fuori casa. Ripenso a Gaber ed al verso di una sua canzone: “anche nelle case più spaziose, non c’è spazio per verifiche e confronti”.

Chiamo Padre Giuseppe, stesso nome dell’amico che ho chiamato prima ma con una personalità molto diversa, essendo un frate è abituato a periodi di solitudine in preghiera e chissà come starà reagendo: «Ciao Giorgio, siamo in prigione … adesso possiamo capire la vita dura dei detenuti, chissà come fanno dietro le sbarre … mamma mia, è come all’inferno.» fine del monologo. Mi convinco che la depressione è la componente principale di questa pandemia e le sbarre rappresentano il nostro stato d’animo. Siamo chiusi nei nostri recinti. Mi muovo in casa e passando davanti allo specchio ho l’occasione di guardarmi e mi sorprendo: ho i capelli lunghissimi! I parrucchieri sono chiusi, ne parlo con Leyda che, oltre a risolvere i miei problemi dovuti alla disabilità, fa tante cose: «Tu potresti tagliarmi i capelli? Sono sicuro che mi farai sembrare più giovane …», ride e mi risponde con la solita prontezza: «Tu non sei vecchio, certo posso farlo, mi ci vuole più tempo perché non so come preferisci che te li faccia e devo fare più prove». Mi sento molto meglio, finalmente un evento che ricorda la vita consueta. Però mi fermo a pensare. Oggi ho i capelli come li portavo ai tempi delle contestazioni, quando eravamo tutti impegnati, alcuni con una forte connotazione politica ed altri molto meno condizionati dall’ideologia, ma tutti convinti della necessità di cambiare il mondo. Questo fatto, dei capelli ed al significato che gli sto dando, mi da una forza propulsiva che non pensavo. Leyda inizia a studiare le mie “rose” in testa, zone dove i miei capelli sono davvero indomabili. È brava ed inizia a tagliare ma con moderazione. Il momento è interessante, è la prima volta che vado dal parrucchiere restando a casa. Come sempre, dal parrucchiere, si parla. Penso che i vent’anni di differenza tra me e lei in realtà non si notino molto, perlomeno nel modo di pensare. Certo la sua generazione è molto meno condizionata dall’ideologia, ma la voglia di cambiare il mondo c’è ancora. Le ciocche cadono sul pavimento ed il mio aspetto si sta avvicinando lentamente a quello di qualche mese fa. Mentre lavora con le forbici, mi racconta il suo “mondo nuovo”. La terminologia è diversa ma l’utopia è la stessa. Mi sovviene uno dei tanti testi delle canzoni degli anni settanta, si pensava di portare l’amore nel mondo. Con tristezza mi parla di due persone anziane che assisteva qualche anno fa: «Pensa che i figli avrebbero potuto aiutarli a vivere nella loro casa, non era così difficile farlo. Non c’è sensibilità. Pensa che, in quella casa di cura, si stanno spegnendo piano piano». Ecco le nuove sfide, la nuova rivoluzione, ritornare a considerare la persona. «Vedi Giorgio» continua con un po’ di tristezza «fare il bene non è facile. Si è difficile superare la diffidenza delle persone che non pensano che si possa compiere una buona azione in modo disinteressato. Cercano e trovano subito una possibile motivazione recondita». 

Leyda mi annuncia la fine del suo lavoro, mi da uno specchio per valutarlo meglio, è perfetto e mi sento molto meglio. Riguardo fuori dalla finestra e vedo ancora le sbarre. So che non ci sono ma le vedo lo stesso. La mia esistenza continua qui tra questi muri, sapendo che il mondo esterno è come se non esistesse. Non c’è altrove. Il telefono suona facendomi sobbalzare, ormai è sera e non mi aspettavo una chiamata. 

«Ciao Giorgio, sono Lino, ti disturbo?»

«No Lino, non mi disturbi. Grazie di farmi vedere su Facebook tutte quelle foto bellissime dei vecchi tempi. Certo che tu alle manifestazioni facevi delle gran belle fotografie»

«Grazie Giorgio, peccato che adesso certe manifestazioni te le scordi, non si sente più il bisogno di lottare assieme … ho molta nostalgia»

«Anch’io Lino ho molta nostalgia»

«Ma hai sentito la notizia di oggi, al Trivulzio hanno ricoverato dei positivi al COVID19 insieme ai ricoverati, ovviamente anziani, ci sono tante vittime … sembra che non abbiano preso nemmeno delle misure preventive … non so ancora i particolari»

«Ma non è possibile che accadano fatti del genere! Lino, ma ti rendi conto, è accaduto senza che nessuno intervenisse … ai tempi ci si sarebbe mobilitati in massa, almeno credo»

«Mah, si forse, non lo so Giorgio. Beh ci sentiamo domani. ciao»

«A domani Lino.»

Mi sveglio alla solita ora, dalla finestra filtra un sole caldo. Le sbarre intorno alla casa non ci sono, ma le vedo. Ripenso ai discorsi di ieri. La quarantena non ci cambierà, ci permette solo di fare delle considerazioni sulle nostre debolezze, soprattutto sul nostro individualismo. Il virus non riuscirà ad insegnarci che senza gli altri non siamo niente. Siamo così legati ai nostri interessi privati che non vediamo oltre al nostro piccolo recinto. Forse non ci saranno le grandi proteste del passato ma la strada, adesso dormiente, ci aspetta con i suoi confronti. 

Le sbarre intorno alla nostra casa ci sono sempre state e non si illuda il virus, non le ha messe lui. Ma noi forse un giorno cambieremo ed apriremo quel maledetto cancello.